”È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico…”
Cita così la Legge 22 dicembre 2017, n. 219 in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento (GU del 16 gennaio 2018, n. 12).
Ma cosa si chiede al medico e al personale sanitario nel consenso informato?
Oltre alle sue competenze tecniche, che stanno certamente alla base della sua professionalità, si chiede la capacità di accogliere la persona assistita, di comunicare con un linguaggio chiaro e comprensibile.
Ma si chiede di più. Di tener conto della sua sensibilità e delle sue reazioni emotive per comunicare diagnosi delicate e includere elementi di speranza.
Stiamo parlando, in altre parole, di comprendere la realtà psicologica della persona nella consapevolezza che non abbiamo un malato davanti, ma una persona con una sua storia, dei suoi vissuti e delle sue aspettative.
Lo smarrimento, la vulnerabilità e il suo conseguente bisogno di sostegno, fa parte integrante del mestiere del personale sanitario.
Non basta curare attraverso sollecitudine e attenzione il disease, cioè la malattia come definita dalla nosografia ufficiale, occorre curare anche la illness, vale a dire la percezione soggettiva della malattia da parte del paziente. E mai come in questo periodo, è stato vero.
La relazione medico-paziente è il più importante fattore nel campo della adesione e dell’alleanza terapeutica.
Il paziente deve assumere un ruolo di partner attivo nella definizione e nella gestione della propria cura.
Queste capacità complesse e fondamentali del medico e del personale di cura sono racchiuse da una competenza specifica che è il Counseling Psicologico.
Acquisire tecniche concrete e subito applicabili ai propri contesti di relazione col paziente diventa strategico per interpretare il proprio ruolo professionale con successo terapeutico.